L’Altopiano dei Sette Comuni è una montagna carsica, ricca di grotte e voragini che si aprono all’improvviso nei boschi, nei prati e che hanno ispirato fiabe, miti e leggende tra le antiche popolazioni cimbre che qui vivevano. Queste cavità rappresentano, inoltre, una vera “finestra” nel tempo: la loro esplorazione consente di studiare le origini e le caratteristiche geologiche di questi monti.
Loch, i “buchi” dell’Altopiano
L’altopiano è ricco di toponimi dedicati alle voragini. Il più noto è il buco del Tanzerloch (loch, in cimbro, significa proprio “buco”) a Camporovere, ovvero il buco delle “danze” dove, si narra, danzassero le streghe.
Ma tantissimi sono anche i “buchi” nel bosco di Cesuna, accanto alla nostra malga. Ne parla pure Luigi Meneghello nella raccolta di scritti di carattere autobiografico “Pómo pèro. Paralipomeni d’un libro di famiglia”.
Il più noto si rifà alla leggenda del Giacominerloch e alla voragine che si apre nel bosco di Cesuna, a pochi passi da Col del Vento.
La leggenda del Giacominerloch
Si narra che, anni or sono, chi percorreva di notte la strada di Cesuna, era solito imbattersi nel lamento di una ragazza, poco lontano dal Pérghele. Un fatto angosciante che portava i più a scappare via. Solamente Josel, giovane boscaiolo del Lémerle, si diceva coraggioso. Lui non sarebbe scappato, ma avrebbe aiutato la ragazza.
È quanto accade in una notte di luna piena.
Di ritorno dalla festa di San Marco, a Canove, Josel percepisce il lamento di donna. Si avvicina alla fonte da cui proviene: una voragine, nel bosco di Cesuna.
Disteso sul ciglio del profondo buco, Josel inizia a sollecitare la voce:
Chi sei?
Da dove vieni? Cosa vuoi?
La voce risponde di chiamarsi Giacomina, di provenire dal regno dei laghi e delle grotte, e di voler rivedere l’Altopiano.
Josel è pronto ad aiutarla, così recupera una corda e la cala nel buco.
La ragazza, lentamente, risale, avvolta da un alone di luce, bella e delicata, dall’incarnato color argento e dai capelli verdi.
Nel ringraziare Josel, Giacomina si affloscia tra le sue braccia, per scomparire, al primo canto del gallo, nuovamente nella voragine.
Josel, triste, sempre più scontroso e solitario, decide di ritentare l’impresa. Con la stessa corda utilizzata per recuperare Giacomina, il boscaiolo scende nella voragine, fino ad arrivare a una vasta spiaggia, tra laghi e fiumi alimentati da cascate. Riflessi, luce e fuoco ovunque. Un mondo incantato.
Poi, d’improvviso, la voce di Giacomina che lo scongiura di ritornare nella sua terra, perché gli elfi stanno tramando la sua rovina.
Josel, imperterrito, le ricorda di essere sceso per ritrovarla e realizzare il sogno di vedere l’Altopiano.
Giacomina lo invita a seguirla e allontanarsi da quel luogo, presagio di incontri funesti. Arrivati in prossimità di una rupe che dà sul lago, Giacomina rivela la sua storia.
“Era la figlia di Hèberle, il più abile boscaiolo dell’Altopiano, colui che da solo era riuscito ad abbattere gran parte dell’inviolabile selva di Cesuna. Proprio questo aveva provocato l’ira degli elfi, che furono costretti a rifugiarsi in quel regno di laghi e di grotte. Un mattino di primavera, mentre era intenta a cogliere i suoi fiori prediletti sugli spalti assolati del Pérghele, le si fecero incontro alcuni coboldi (folletti poco socievoli, ndr) che le offrirono anèmoni e ranuncoli profumati e appariscenti. Appena ne ebbe aspirato il profumo fu colta da profondo sonno. Al risveglio si era ritrovata in quel regno incantato, che tuttavia non riusciva a distoglierla un solo istante dai suoi pensieri per i cari, la casa e le sue montagne inondate di verde e di sole.
Pianse e scongiurò di essere lasciata libera, ma tutti erano sordi al suo dolore. Un giorno la invitarono a un sontuoso banchetto, il cui cibo e le cui bevande ebbero l’effetto di assopirla nuovamente per lungo tempo. Quando si ridestò, si accorse che la pelle si era fatta argentea e i capelli fosforescenti di un tenue verde vegetale, come le alghe che abbondavano nelle insenature meno agitate dalle correnti.
Capì allora che la sua sorte era segnata: nel breve giro di due solstizi si sarebbe trasformata in un’anguana, destinata come tutte le anguane ad assumere forma e aspetto bellissimi ma evanescenti, per popolare la Val d’Astico e adescare gli uomini” (fonte: Leggende dell’Altopiano di Asiago di Francesco Zanocco – Centro Editoriale Universitario).
Ora, per uscire da quel luogo, Giacomina e Josel attendono lo scioglimento delle nevi che alimentano i fiumi e i laghi e che permettono il passaggio della nave delle evanescenze addormentate, le anguane dell’isola dei sogni, su cui salgono.
Grazie all’astuzia di Josel, che intreccia alghe e muschio ai piedi di Giacomina per evitarne la trasformazione all’indietro (come destino voleva), i due tornano liberi.
Felici, si accorgono di essere a San Pietro Valdastico. Tutto è cambiato. Risalgono a Canove. Anche qui, tutto è mutato: i sentieri sono strade e il bosco pascoli.
Sulla voragine leggono la scritta:
In dizar tir loch Zo
vennen Giacomina
Is-se smariert Josel
Wàllemar vo’ Lèmerle.
In questo profondo buco
Per trovare Giacomina
Scomparve Josel
Boscaiolo del Lèmerle
Entrambi comprendono che il tempo nel regno dei laghi e delle grotte è trascorso in maniera diversa da quello in terra: sono giovani di vent’anni e vecchi di secoli, e Giacomina presenta ancora un incarnato argenteo e i capelli fosforescenti, di un tenue verde vegetale.
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(Riferimenti: Hoga Zait)